Direttiva SUP e Bioplastiche. Facciamo chiarezza

In questi giorni il parlamento italiano sta lavorando per la ricezione della direttiva SUP approvata dal parlamento europeo.

Entrata in vigore a luglio 2019 con l’obiettivo di ridurre drasticamente i rifiuti marini, la direttiva SUP (Single Use Plastic) mira a disincentivare il ricorso al monouso, vietando e scoraggiando la produzione e commercializzazione delle plastiche monouso. Un divieto ampio che colpisce tutti i tipi di plastica, siano essi di origine vegetale o petrolchimica, includendo pertanto anche le bioplastiche.

Si tratta di un bando che va ad incidere su un settore, quello della bioplastica, che si era posto come soluzione ecologicamente sostenibile alla produzione della plastica tradizionale. La soluzione proposta dall’Europa per sostituire le plastiche monouso è quella di reintrodurre prodotti lavabili e riutilizzabili.

Per capire le ragioni che hanno portato ad un bando così importante occorre affacciarsi sul mondo delle bioplastiche e comprenderne le caratteristiche.

Bioplastica, dalla nascita allo smaltimento.

Secondo la definizione data da European Bioplastics, per bioplastiche si intende una grande famiglia di materiali aventi differenti proprietà. Possono essere plastiche a base biologica, biodegradabili, o possedere entrambe le caratteristiche.

In generale, dunque, possiamo distinguere tra:

  • Biobased Plastiche non biodegradabili
  • Plastiche a base biologica biodegradabili
  • Plastiche derivate da petrolio biodegradabili

Bioplastiche

Le plastiche a base biologica, secondo lo standard EN 16575 della CE, sono “plastiche create parzialmente o totalmente da biomassa”, vale a dire, dalla “frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura, dalla silvicoltura e dalle industrie connesse”. In altre parole, si tratta di plastiche che vengono prodotte a partire da composti organici. Possono derivare da colture come mais, grano, tapioca o patate. Possono derivare dalla fermentazione degli zuccheri, da oli vegetali, dalle alghe o dai gusci di crostacei. Le fonti possono essere materiali di scarto, ma anche coltivazioni apposite.

Se, tuttavia, una bioplastica può derivare solo parzialmente da biomassa, vuol dire che, almeno in parte, è composta da altre sostanze che possono anche derivare dal petrolio. Parliamo di additivi plastificanti, stabilizzanti, coloranti, ritardanti di fiamma e molto altro.

Assobioplastiche, d’altro canto, definisce bioplastica quei materiali e quei manufatti, ricavati da fonti rinnovabili o di origine fossile, che sono sia biodegradabili che compostabili, sottolineando una caratteristica del fin di vita di questi prodotti, la computabilità.

Una differenza fondamentale per l’ambiente è quella tra prodotto biodegradabile e prodotto compostabile. Una bioplastica compostabile è una bioplastica che può essere trasformata in compost all’interno di una impianto industriale di compostaggio e può essere smaltita insieme all’umido. Esempio di questo tipo di plastica è la Mater-Bi di Novamont. Le caratteristiche delle plastiche compostabili sono stabilite dallo standard EN 13432  del 2002 del CEN.

Che una plastica sia a base biologica non vuol dire che sia biodegradabile. Esistono diverse plastiche derivate da biomassa, come il bio PET e il bio PE, che non degradano in tempi “umani”. Queste sostanze, per via della non biodegradabilità, permangono nell’ambiente al pari delle plastiche derivanti da petrolio e per distinguerle dalle plastiche biodegradabili si preferisce chiamarle “Plastiche Vegetali”.

Bisogna poi aggiungere che non è detto che le Plastiche Biodegradabili siano solo quelle derivate da biomassa. Una buona parte delle plastiche biodegradabili viene prodotta da fonti non rinnovabili al pari delle plastiche tradizionali. La loro struttura molecolare, tuttavia, le rende biodegradabili.

Discorso a parte va fatto per le plastiche Oxo Degradabili. Si tratta di plastiche a base petrolchimica addizionate di sostanze che ne consentono la degradazione quando esposte all’aria. I tempi di degradazione di queste plastiche sono più lunghi e non ci sono studi che attestino la loro effettiva sicurezza.

Direttiva SUP e scelta italiana. Una posizione apripista

La ricezione della Direttiva SUP in Italia ha evidenziato una differenza di vedute rispetto alla commissione Europea. Il punto di partenza che ha influenzato la decisione del nostro parlamento è che le Bioplastiche non possono essere equiparate alla plastica convenzionale. E’ necessario pertanto creare una normativa adeguata che tenga conto delle varie differenze che esistono tra i diversi prodotti.

Questa posizione, sostenuta da Legambiente, conferma la leadership Italiana in materia di bioeconomia. Una leadership internazionale che trova le sue basi nella produzione di plastiche compostabili, nella raccolta differenziata dell’umido domestico e in tutta la filiera industriale del compostaggio.

La scelta europea di bandire in toto le plastiche monouso preferendo prodotti riutilizzabili comporta non poche difficoltà.  Ad esempio, l’uso di acqua e di detergenti per i lavaggi, nonché dell’energia necessaria a riscaldamento e asciugatura, avrebbero un loro notevole impatto ecologico. Senza contare la questione sanitaria legata alla corretta igienizzazione degli articoli da riutilizzare.

La posizione italiana, d’altro canto, parte dal presupposto che è necessario mantenere in uso alcuni prodotti usa e getta in plastica all’interno di determinate realtà, come ad esempio le mense ospedaliere. Oggetti monouso che, se realizzati in bioplastica compostabile, sono un perfetto sostituto delle plastiche convenzionali senza avere un forte impatto ambientale.

Per tutti questi motivi la scelta italiana è quella di trovare una soluzione intermedia che considera le differenze tra le varie plastiche premiando quelle realmente compostabili. Si escludono pertanto dal bando i prodotti in materiale biodegradabile e compostabile che contengono un minimo del 40% di materia prima rinnovabile. Percentuale che al primo Gennaio 2024 dovrà salire al 24%. Questo darebbe inoltre anche la possibilità ad alcune realtà molto importanti di riconvertire la propria produzione verso soluzioni più sostenibili.

Nei prossimi anni dunque l’Italia dovrà iniziare la transizione verso il pieno ed esclusivo utilizzo di plastiche compostabili e l’eliminazione di tutte le altre plastiche monouso.