Spedizione transfrontaliera dei rifiuti

Spedizione transfrontaliera dei rifiuti, ovvero come il mondo industrializzato gestisce lo smaltimento dei rifiuti.

La gestione dei rifiuti è un nodo fondamentale che il mondo moderno deve sciogliere. La società consumistica e lo sviluppo tecnologico hanno portato l’uomo a produrre una quantità di rifiuti sempre crescente senza avere le adeguate capacità di smaltimento.

Una delle pratiche messe in atto dal mondo occidentale è stata quella di spedire altrove i rifiuti che non era in grado di smaltire. Spedizioni di tonnellate di materiale, riciclabile e non riciclabile, si sono succedute nel corso degli anni da parte di tutto il mondo industrializzato verso realtà più povere.

Africa, Cina e sud-est asiatico sono state trattate per anni come la pattumiera del mondo industrializzato e solo con la ratifica della convenzione di Basilea si è iniziato a porre un freno a tale pratica.

Dalla convenzione di Basilea ad oggi. Le norme che regolano la spedizione transfrontaliera dei rifiuti

La convenzione di Basilea è entrata in vigore il 5 maggio 1992 ed è il più importante trattato internazionale per la regolamentazione del traffico dei rifiuti pericolosi. Il suo scopo è quello di fermarne l’esportazione nei paesi in via di sviluppo. Sottoscritta da 187 stati, la convenzione vincola gli stati a ridurre la produzione di rifiuti e a ridurne i movimenti internazionali. Gli accordi prevedono infatti il divieto di esportazione di rifiuti pericolosi senza una preventiva autorizzazione scritta da parte del paese ricevente. Tali accordi lasciavano scoperta l’esportazione dei materiali plastici.

Per anni i paesi industrializzati hanno continuato a spedire i propri rifiuti in paesi in via di sviluppo e col tempo la Cina è  diventata il maggior importatore mondiale di rifiuti plastici. Tale primato è proseguito e si è rafforzato dopo la ratifica della convenzione di Basilea. Basti pensare che tra il 1992 ed il 2018 la Cina ha importato il 45% dei rifiuti plastici mondiali. Secondo uno studio apparso su Science, sin da quando la Cina nel 1992 ha iniziato a rendicontare le importazioni, ha fatto entrare ben 106 milioni di tonnellate di rifiuti plastici provenienti da  43 differenti nazioni.  Nel 2018, tuttavia, il paese ha preso in mano una situazione che era ormai divenuta insostenibile ed ha vietato tale pratica.

I paesi industrializzati si sono all’improvviso ritrovati a dover gestire una mole di rifiuti per la quale erano del tutto impreparati. Da quel momento, se da un lato è aumentata l’attenzione dei paesi industrializzati nei confronti della gestione dei rifiuti plastici, dall’altro si sono aperte nuove rotte per il loro smaltimento.

La maggior parte delle materie plastiche di scarto oggi viene esportata in paesi o regioni con una legislazione ambientale meno stringente e che non hanno una reale capacità di gestione e riciclo dei rifiuti in plastica. Le rotte si indirizzano principalmente nel Sud-est asiatico ma non solo.

Un report di Greenpeace analizza la situazione delle spedizioni transfrontaliere di rifiuti in seguito al bando cinese. L’analisi, che individua le rotte internazionali che seguono i rifiuti per essere smaltiti, indica Malesia, Vietnam e Thailandia quali principali destinazioni dei rifiuti in plastica globali. Tuttavia, in seguito all’implementazione da parte di questi paesi di una  normativa più stringente in merito, il traffico si sta spostando verso Indonesia e la Turchia, che sono oggi i principali importatori a livello globale. Non mancano tuttavia destinazioni interne alla UE, con Romania e Bulgaria in prima linea.

La crescente presa di coscienza da parte dei pesi meno industrializzati sta facendo sì che l’occidente industrializzato si trovi di fronte ad una vera emergenza rifiuti. La perdita della Cina e la progressiva diminuzione delle rotte del sud est asiatico hanno portato i paesi industrializzati a dover gestire un’eccedenza di scarti  plastici che non sono tutt’ora in grado di smaltire. Questo ha fatto sì che si ponesse mano alla normativa per inserire norme ancora più rigide in materia di trattamento e spedizione dei rifiuti.

Il divieto di esportazione di rifiuti pericolosi nei paesi esterni all’OCSE sancito dalla Convenzione di Basilea è reso ancora più stringente dagli emendamenti adottati nel 2019 in seguito al COP14. Entrati in vigore dal primo gennaio 2021, i nuovi emendamenti estendono a quasi tutti i materiali plastici il divieto di libera esportazione. In sostanza si potranno esportare senza obbligo di notifica e richiesta al paese ricevente solo alcuni lotti di polimeri non alogenati, sanificati e raccolti separatamente e destinati ad appropriati impianti di riciclaggio e smaltimento nel paese di destinazione.

Fatta la legge, trovato l’inganno. Le rotte non ufficiali del traffico dei rifiuti

L’improvviso blocco delle importazioni da parte della Cina e la graduale modifica delle legislazioni dei vari paesi del sud est asiatico hanno portato l’Europa a dover individuare nuovi metodi. Purtroppo in Italia gli impianti di riciclaggio non sono sufficienti e i prezzi di lavorazione sono saliti in maniera esponenziale. Questo, associato a controlli molto stringenti sui movimenti nazionali ma non altrettanto su quelli verso l’estero, ha portato ad un aumento del traffico illegale di rifiuti.

Esportazioni di materie bandite dalla convenzione di Basilea verso paesi esterni all’OCSE avvengono con regolarità e spesso non vengono scoperte. Secondo dati diffusi dall’Agenzia delle Dogane, nel 2020 il traffico illecito di rifiuti è triplicato rispetto all’anno precedente: da 2.251 tonnellate sequestrate nel 2019 sono passati alle 7.313 tonnellate del 2020.

Una delle mete del traffico illegale che parte dall’Italia è l’Africa. Container carichi di plastica, parti di automobili, rifiuti ingombranti, Raee, carta e rifiuti urbani si dirigono verso i porti di Senegal, Gambia, Togo, Sierra Leone, Nigeria e Ghana. E in questi paesi i rifiuti finiscono in discarica.

Impressionante è la discarica di materiali Raee di Agbogbloshie in Ghana in cui si stima che siano stati depositati più di 250 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici provenienti da tutto il mondo, per lo più attraverso rotte illegali. La maggior parte dei materiali arrivati illegalmente sono al di là di ogni possibile riparazione e vengono depositati in discarica per recuperarne metalli con grande danno per la salute e per l’ambiente.

Recente è lo scandalo dei 212 container carichi di rifiuti non riciclabili derivanti da smaltimento domestico inviati a Sousse in Tunisia da sedici comuni del Vallo di Diano nella regione Campania. Uno scandalo internazionale che evidenzia la facilità con cui le norme che regolano le spedizioni transfrontaliere dei rifiuti possono essere eluse.

Ma non è solamente l’Africa la meta dei traffici illeciti di rifiuti. In Europa si è andata definendo una rotta bulgara. Nel paese arrivano, sia in maniera legale che illegale, rifiuti plastici destinati alla produzione energetica o allo smaltimento in discarica. Se la spedizione su camion è più costosa rispetto alle spedizioni sulle navi portacontainer che arrivavano in Cina, rimane comunque una soluzione più economica rispetto allo smaltimento in loco. Senza contare che la cronica mancanza di impianti di recupero e smaltimento in Italia fa sì che buona parte del materiale venga assorbito dai circuiti illegali e arrivi in  Bulgaria seguendo rotte criminali.

La soluzione a questa situazione di illegalità diffusa è certamente quella di rendere più semplice e conveniente il trattamento in loco dei rifiuti. Attualmente in Italia gli impianti in uso non sono in numero sufficiente e sono collocati prevalentemente nel nord del paese. Serve un intervento importante in materia e aumentare il numero di impianti e distribuirli in maniera più equa sul territorio è sicuramente il primo passo da compiere.